17/05/13

SPARTACUS: WAR OF THE DAMNED [Terza stagione]


Per riassumente correttamente la seconda stagione, Vengeance, si poteva usare tranquillamente il termine NOIA, ma alle volte potevamo anche mescolarla a IRRITANTE (“Irritanoia”? “Noiante”?). Una stagione con un protagonista dal carisma di una piadina e vagonate di personaggi che meritavano fortemente la morte.

Al contrario, la prima stagione, Blood and Sand, pur essendo rozza, imprecisa ed anacronistica, si rivelava decisamente appassionante, grazie ad un protagonista non di certo da premio Emmy, ma dalla fisicità e dagli occhi (così tristi) che non potevi fare a meno di credere che lui fosse realmente un uomo costretto a combattere come gladiatore, per arrivare alla moglie sottratta dai Romani (uccisa davanti ai suoi occhi). Andy Whitfield diede corpo ad un buon personaggio, che però non fu più in grado di interpretare. Oltre a lui, arricchivano la serie l'ottimo John Hannah, la mitica Lucy Lawless e il buon Manu Bennett nella parte dell'indomito gallo Crixus. Tra le mura dell'arena di Batiatus, si creava un microcosmo fatto di intrighi, sesso e violenza. Perduto poi nella già citata seconda stagione, dove si è tentato di fare qualcosa di simile ma dagli scarsissimi risultati.

10/05/13

THE WALKING DEAD [Terza stagione]

http://www.imdb.com/title/tt1520211/

Sicuramente ve ne sarete resi conto anche voi, alla AMC va disgraziatamente di moda segare in due le stagioni delle proprie serie, come accade con Breaking Bad.
Disgraziatamente perché: se per loro significa chiaramente più introiti, per gli autori dello show si traduce in un lavoro di allungamento che al 90% ti restituirà una storia troppo lunga, noiosa e involuta.


16/04/13

TETSUO: THE BULLET MAN

http://www.imdb.com/title/tt1176416/
Shin'ya Tsukamoto è quello che puoi chiamare un “regista di culto”: poliedrico, ha ricoperto (e ricopre) un po' tutti i ruoli nella realizzazione dei propri film, si presta come attore per sé e per altri cineasti;  inoltre lo puoi considerare degno epigono di Lynch e Cronenberg per l'uso di tematiche forti come la mutazione o lo straniamento, ed infine, è colui che ha portato quel tipo di cyberpunk estremo nella cinematografia asiatica – prima di lui, solo sporadici casi più vicini alla semplice fantascienza, anche post-atomica. La sua carriera parte subito fortissimo: sul finire degli anni '80, Tsukamoto è autore di alcuni medio/cortometraggi, come Le avventure del ragazzo del palo elettrico, in cui mette in scena elementi a lui cari che verranno poi sviluppati nel corso della sua carriera: parliamo di disumanizzazione, alienazione, violenza, città come parallelo dell'uomo e, soprattutto, di mutamento della carne. Nel 1989 crea lo studio Kaiju, prende questi suoi (futuri) topoi e ne tira fuori Tetsuo: The Iron Man, film a bassissimo budget che catapulta il giovane Shin'ya nell'olimpo degli autori più visionari. In cosa consiste questo fenomeno? In una storia tutto sommato semplice (un feticista del metallo viene investito da un'auto guidata da un uomo la cui esistenza, da quel momento in poi, sarà completamente sconvolta) che, grazie ad una realizzazione tecnica limitata ma impeccabile, diventa un vero incubo per lo spettatore: il contrasto bianco/nero, la velocità data dallo stop-motion, la frenesia del montaggio, tutto è portato all'eccesso in sequenze prive di dialoghi, bizzarre, cariche di un pulsante orrore bio-meccanico, fino ad arrivare al finale devastante. Il trionfo del cyberpunk, condito da una colonna sonora pompata al massimo, splendidamente cacofonica. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a questi 67 minuti da incubo, è il classico caso di un film che, come si suol dire, “o si ama, o si odia”.

03/04/13

MEMORIES OF MURDER (Salinui chueok)



http://www.imdb.com/title/tt0353969/

“Basato su una storia vera accaduta sotto una dittatura militare.”
Così si apre Memories of Murder, secondo lungometraggio di quel Bong Joon-Ho che, solo tre anni prima, si faceva notare per la deliziosa commedia nera intitolata Barking Dogs Never Bite (di cui abbiamo parlato nel #2), da cui riprende il filo del discorso iniziato sulla critica al malessere della società coreana.
In più, Memories of Murder è uno di quei film tremendamente difficili da recensire, essendo molto particolare e parecchio lontano dagli stilemi dei thriller classici. Insomma, non puoi scrivere qualcosa senza incappare in un dannato spoiler! Anche se MoM non è certo un film che si regge unicamente sull’identità dell’assassino.

Ma inquadriamo meglio il contesto in cui si svolge il film, con una morbosetta lezione di storia: tra l’ottobre 1986 e l’aprile 1991, in Corea, furono commessi dieci omicidi nella zona di Hwaseong. Le vittime, tutte donne di età variabile, dai 13 ai 60 anni, vennero imbavagliavate con la loro biancheria intima, dopodichè stuprate e poi uccise. Oltre 300.000 poliziotti  presero parte alle indagini e oltre 3.000 indagati vennero interrogati.

La pellicola racconta infatti questo brutale e reale fatto di cronaca nera: un piccolo paese di provincia viene scosso dal brutale omicidio di una donna. A condurre le indagini saranno inizialmente due poliziotti locali che si baseranno unicamente sul loro istinto, fornendo prove false e torturando i sospetti; visto l’insuccesso delle indagini e la scoperta di un nuovo omicidio, interverrà per dare una mano un poliziotto di Seul, che fa della razionalità il suo tratto più marcato.

02/04/13

M



http://www.imdb.com/title/tt0889615/
Min-woo (Dong-won Kang) è un giovane scrittore di successo che lavora all'attesissimo seguito di un suo romanzo. Tutto normale, tranne per il fatto che la sua mente vacilla: frequenti incubi lo perseguitano, paranoie, visioni di una ragazza misteriosa (Yeon-hee Lee)... presto per lui sarà difficile distinguere fra realtà e fantasia.
Visivamente grandioso, il film offre inquadrature dai colori saturi, immagini sovraesposte, freeze, dissolvenze, rallenty, ma tutto questa aggressività grafica tende alla noia, confondendo una storia già di per sè non eccessivamente semplice che si snoda su tre livelli (realtà, onirico, memoria), creando quindi una notevole difficoltà nella comprensione dello svolgimento.
Per qualcuno sarà divertente, personalmente l’ho trovato troppo attento alla forma più che alla sostanza, vedi anche lo scarso spessore donato ai personaggi, elemento che mortifica l’empatizzazione tra spettatore e protagonisti.

28/03/13

ASHITA NO JOE


http://www.imdb.com/title/tt1606595/
Il pugilato è da sempre il mezzo migliore per portare al cinema storie di personaggi nati e cresciuti ai margini della società, il cui unico modo per dire alla vita “Ehi, ci sono anche io”, era quello di salire sul ring e combattere fino alla fine. Esempi illustri possono essere il Rocky di Stallone e Lassù qualcuno mi ama con Paul Newman. Nel 1968, in Giappone, ci provano Asao Takamori (sotto pseudonimo di Ikki Kajiwara) e Tetsuya Chiba, passando dalla pellicola alla carta stampata: viene dato alle stampe Ashita no Joe (traducibile come Il domani di Joe, anche se a volte tradotto con Joe del domani), da noi meglio conosciuto come Rocky Joe. Ambientata negli stessi anni della sua creazione, la storia racconta di Joe Yabuki, bullo di periferia, violento, orgoglioso, opportunista, bugiardo: un personaggio negativo, quindi, prodotto da una società che non è riuscito a instradarlo quando lui ne aveva più bisogno (Joe è orfano); la sua voglia di riscattarsi, di ribellarsi alle atrocità della vita, alla povertà, alla delinquenza, alla fame, alla pressione della società è il fulcro dell'opera di Takamori e Chiba, che ambientano la vicenda in periferia (vera e propria co-protagonista degli inizi), zona disagiata, povera e piena di delinquenza organizzata e minorile. Qui Joe farà la conoscenza di Danpei Tange, suo futuro allenatore ma, agli inizi, ubriacone molesto ed ex-pugile fallito. Il loro sodalizio, tra alti e bassi, risse e truffe, si trasformerà nell'occasione di Joe per scaricare prima la sua rabbia dopo una vita di stenti e infelicità e poi per costruirsi un domani migliore.
Un percorso di crescita che gli autori realizzarono nel corso di cinque anni, appassionando il pubblico giapponese e non solo. Il successo fu clamoroso: venne prodotta una serie animata che copriva il primo e più importante arco del manga, mentre dopo un decennio (inizio anni '80, a manga già bello che terminato) venne prodotta la seconda stagione, migliore dal punto di vista tecnico ma di minore impatto rispetto alla prima. La fama di Joe Yabuki in Giappone non è mai terminata, basta pensare che, alla morte di un personaggio importante del manga, furono organizzati dei funerali veri e propri per celebrarne la scomparsa.
Ed è qui che arriviamo al 2011, anno di uscita del live action di Ashita no Joe.

27/03/13

FIREBALL: MUAY THAI DUNK



http://www.imdb.com/title/tt1420771/
La storia vede il giovane Tai (Preeti Barameeanat) che, per vendicare il gemello massacrato, entra in un a far parte di una squadra di Fireball, sport illegale che mischia il Muay Thai al basket.
In realtà di basket c'è davvero poco, è tutto un pretesto per massacrarsi come se non ci fosse un domani: si esagera tantissimo, l'anatomia e la fisica non contano più nulla, si muore solo se pugnalati. Il problema grosso di questo film però non è l'esagerazione, che in simili contesti è sempre cosa buona & giusta, bensì la regia confusionaria che non può fare a meno di soffocare la spettacolarità, che in ogni caso non trova riscontro nelle coreografie, nulle.
Magari il resto è ben fatto, no? NO. In film come questi è ovvio come non si cerchi di dar peso all'introspezione ai protagonisti, limitandosi alle macchiette, ma è tutto così scarso e mal realizzato che proprio guarda, NO, non c'è niente da fare, non si regge.

26/03/13

BARKING DOGS NEVER BITE (Flandersui gae)


http://www.imdb.com/title/tt0269743/
Succede che ci si lamenta spesso di come tanti film non arrivino in Italia. Uno dice "eh certo, arrivano sempre i soliti nomi" ed è vero, visto che abbiamo la fortuna di vedere importati nel Bel Paese autori come Kim Ki-duk, Park Chan-wook (Oldboy) o Takashi Miike (Ichi The Killer, per dirne uno), che nonostante facciano film non campioni d'incassi, hanno comunque la fortuna di portare in qualche sala (o a casa vostra) le proprie pellicole tradotte. Per altri registi, invece, il nostro mercato è off-limits, come vedremo in questo caso.

Nel 2000 Bong Joon-ho è un promettente regista appena trentenne: dopo un po' di cortometraggi, dove cura personalmente ogni aspetto della creazione, fa il grande salto, passando alla direzione di un lungometraggio chiamato Flandersui gae (Il cane delle Fiandre). Chi ha un minimo di dimestichezza con la letteratura inglese, avrà intuito che il titolo riprende il racconto omonimo di Marie Louise Ramée (Ouida), opera famosissima in Oriente (tanto da aver avuto due incarnazioni anime e una filmica), da cui riprende alcuni elementi trattandoli però in chiave satirica: succede infatti che Bong prende questo racconto e lo sviscera, prendendone in prestito alcuni elementi che posizionerà poi sotto l'ottica di una commedia nera, aggiornandola chiaramente per un pubblico moderno.

25/03/13

HARA-KIRI: DEATH OF A SAMURAI (Ichimei)


http://www.imdb.com/title/tt1728196/
Takashi Miike è un folle.
Ma è anche un autore estremamente prolifico: dal 1990 ad oggi (gennaio 2013) ha girato una settantina di film, senza contare gli home video, i drama e una manciata di serie tv. Diversamente da quanto si potrebbe pensare, buona parte dei film di Miike si assestano su un buon livello, se non addirittura ottimo, con picchi di capolavoro.
Ma non è solo a questo che il regista giapponese deve la sua fama: è riuscito a creare una visione grondante all’eccesso sangue e viscere. E’ la norma imbattersi in scene velocissime, dal ritmo convulso, pulsanti violenza, spesso popolate da psicopatici, da perversioni sessuali, da dinamiche grottesche e assurde. Un regista capace di passare con estrema disinvoltura da pellicole come Ichi the Killer, Izo o Dead or Alive, a Zebraman o Yattaman The Movie: film diversissimi tra loro, ma pregni comunque di una personale poetica.
E’ uno dei più ambigui autori provenienti dal Sol Levante, meritevole dell’appellativo di “regista cult”.

15/03/13

EXECUTIVE KOALA (Koara kachô)



http://www.imdb.com/title/tt0830581/
Keiichi Tamura ha passato gli ultimi tre anni dopo la scomparsa dell'amata moglie dedicandosi interamente al lavoro: è il Capoufficio di una grossa azienda alimentare e sta per concludere un grande affare con una ditta Coreana. Poi un giorno la sua amante scompare, la polizia lo interroga, e strani sogni iniziano a turbare la sua mente: il suo psicologo cercherà di aiutarlo, e pian piano scoprirà la verità su sè stesso.
Un “thriller psicologico” assurdo, totalemente folle, assolutamente inconoclasta. Un film che potrebbe facilmente passare per puro trash, ma cui dietro un’esteriorità burlesca e no-sense, nasconde un’inventiva pressochè illimitata, perfetto nell’accostare e combinare i generi più disparati (commedia, drammatico, action, melò, thriller),  dando risalto a tematiche tutt'altro che scontate.
Un film eccessivo, non facile, nonostante l’aspetto farsesco.

14/03/13

VENDICAMI (Fuk Sau)

http://www.imdb.com/title/tt1329454
C'è qualcosa di profondamente sbagliato se un film dal chiaro titolo e dall'inizio sfolgorante non ti esalta come dovrebbe: uno ex-sbirro francese arriva a Macao, dove la famiglia di sua figlia è stata brutalmente uccisa, e assolda un gruppo di killer per cercare vendetta.
Non ho mai visto un film di Johnnie To, quindi non saprei dire se questo sia un caso isolato, ma Vendicami è un film davvero moscio, elegante nella forma ma privo di sostanza, con momenti che sviliscono l'intera pellicola e uno sviluppo che richiama fin troppo pellicole come Memento. C'è però da dire che sarebbe comunque passabile (al massimo ti inalberi per l'occasione sprecata), se non fosse per il grosso difetto che è il protagonista: un Johnny Holliday che ha come unica espressione quella del botox, risulta totalmente fuori ruolo e rende difficile per lo spettatore appassionarsi alla sua storia. Noir passabile, ma nulla di più.

11/02/13

FRANKENWEENIE

http://www.imdb.com/title/tt1142977/

Remake del cortometraggio omonimo ideato e diretto dallo stesso Tim Burton, Frankenweenie è un evento per due motivi: 1) il ritorno all'animazione del regista, dopo La Sposa Cadavere, e 2) finalmente non c'è Gionni Depp a rompere il cazzo, che di Gionni Depp se ne hanno le palle piene, orsù.


Victor Frankenstein è uno di quei ragazzini solitari, appassionatissimi di scienza, e in questo caso pure regista in erba. Il suo cane Sparky è l'unico vero amico di Victor, solo che un giorno il cane viene investito da un'auto, schiattando. Il dolore per Victor è così forte che decide di disseppellire il cane e di tentare di riportarlo in vita, eccetera eccetera.

Bando alle ciance: vista la carriera di Burton sempre più inabissata da film vuoti e imbarazzanti, guarda caso sempre girati con Depp - tutto per far bagnare le fangirl -, temevo fortemente che il film si rivelasse un esplosivo fallimento. In più, il cortometraggio originale non mi aveva fatto impazzire, anzi, lo trovai parecchio noioso all'epoca della visione (parliamo di due anni fa, ed ero di bocca molto più buona).
Insomma, tra pareri e aspettative, la vedevo nerissima.
Eppure. Credo di non avere mai apprezzato così tanto un film di Burton, a parte Big Fish che continuo a reputare il suo capolavoro. Questo Frankenweenie, nella sua semplicità, parla di freak, di società falsa e ipocrita, di morte, di emozioni come l'amore - per il cinema (il regista), per il proprio amico (il ragazzino). Come per i migliori film di Burton si tratta di una storia molto autobiografica, anzi, qui più che mai: non è difficile notare, infatti, citazioni alle sue passioni, come Vincent Price o i continui riferimenti alla mostrografia anni '50/60.
E' un inno d'amore verso le proprie passioni, un amore sincero, che da anni a questa parte si presumeva fosse definitivamente evaporato.
E' un piacere rivederti, Tim.

07/02/13

THE COLLECTION

http://www.imdb.com/title/tt1748227/
Sequel di The Collector (ovviamente), il film ha pochi punti di contatto con il predecessore, tanto da poter essere visto a sè, senza problemi di comprensione.
Mentre si sta riprendendo in ospedale dalla spiacevole situazione in cui era capitato la scorsa volta, Arkin viene assoldato controvoglia da un gruppo di mercenari al soldo di un uomo, la cui figlia è stata rapita dal maniaco noto come Collector. L'uomo non lascia ad Arkin nessuna scelta: dovrà unirsi al gruppo di mercenari, portarli al covo del maniaco omicida e liberare la figlia. Ma, una volta penetrati nel rifugio del Collezionista, il gruppo si troverà ad affrontare un nemico incredibilmente ostico...
Una pellicola che esaurisce la sua energia nei primi 20 minuti, in cui l'assassino (che più lo vedevo e più mi pareva lui in versione sawesca) massacra con gusto dei ragazzi presenti in una discoteca. Nelle intenzioni del regista immagino ci fosse l'idea di dare un'importanza notevole alla location della seconda parte (il covo dell'assassino), tempio della ferocia più estrema mai partorita da mente umana. Peccato che sia rimasto tutto una vaga intenzione, perché ecco, quello che viene mostrato è quanto di più insulso, insipido e moscio possiate immaginare: poca violenza, atmosfera e tensione nulle.
Una piccola speranza poteva essere rappresentata dal cambio di registro, passando dal torture porn (seeeeh) all'action/thriller, ma un ritmo incredibilmente leeeeeento e scontato ne minano decisamente la forma. Aggiungiamoci inoltre un protagonista non all'altezza (il sosia capoccione di Edward Norton), che sia per fisicità che per carisma non rimane impresso minimamente.
Fotografia e soundtrack anonimi al massimo.
Ancora meno coinvolgente del predecessore, ed era difficile arrivare a questi livelli.

06/02/13

LINCOLN

http://www.imdb.com/title/tt0443272/

Prolisso
[pro-lìs-so] agg.
 
    • Che si dilunga o si protrae troppo, eccedendo inutilmente in particolari e risultando noioso: scrittore p.; discorso p. Sin: Lincoln, film di S. Spielberg.

Ovvero il termine più idoneo per descrivere il nuovo film di Steven Spielberg.

Il 16° presidente degli States Abramo Abraham Lincoln, al volgere della fine del conflitto civile americano, vuole abolire la schiavitù negli Stati Uniti d'America. All'interno della Camera dei Rappresentanti, però, non tutti sono d'accordo.

Lincoln è un film pesante, dal ritmo (fin troppo) compassato, ma per noi non-americani è anche un film difficile se non si possiede un'infarinatura della storia americana, con tutti i suoi personaggi e intrighi. Ma no, non è questo ciò che rende Lincoln poco riuscito.
Da un lato abbiamo infatti la voglia di dare peso al tema politico, parlando di schiavitù in un modo anche freddo, mentre dall'altro si vorrebbe approfondire la figura di Lincoln uomo, marito, padre. Ed è qui che Spielberg cade rovinosamente: non sapendo quale delle due strade prendere, decide di intrecciarle, non riuscendo a gestire un macchinario enorme che vira inevitabilmente fuori strada. Ti ritrovi così davanti ad un'ottima ricostruzione storica, curatissima, tecnicamente ineccepibile, ma mai incisiva, fatta di momenti e dialoghi didascalici, infarciti di tanta, troppa retorica, con un Lincoln tanto puro quanto irreale.
Un po' come le recite scolastiche: molto dettagliate, ma prive di mordente e approfondimento.
La cosa peggiore è che ogni tanto Spielberg ci lascia intravedere le potenzialità di questa creatura, come il confronto in camera da letto tra Lincoln e moglie, che fanno pensare a che occasione magnifica si è persa.

Laddove sceneggiatura e regia risultano mediocri, si vede la classe di quel Daniel Day-Lewis che, a riprova dell'incredibile versatilità, si trasforma in un Lincoln affascinante, magnetico, testardo, stanco e provato, trascinando il film praticamente da solo. Ed è difficile non farsi trasportare dal suo carisma.
Eccezion fatta per l'ottimo Tommy Lee Jones (vice presidente Stevens), il resto del cast (fra tutti Joseph Gordon-Levitt e Sally Field) appare piuttosto sprecato, vittima del mancato approfondimento dei personaggi e delle dinamiche a loro legate che avrebbero portato la vicenda su una scala emotiva altissima.

Mentirei se dicessi che Lincoln non mi è piaciuto, però. Okay, ha tutti i difetti sopra elencati, ma è così DayLewiscentrica che è impossibile non rimanerne in qualche modo colpiti.

04/02/13

UBALDO TERZANI HORROR SHOW

http://www.imdb.com/title/tt1621641/


Il film tratta di Alessio Rinaldi, inesperto regista di pellicole horror con una tendenza a calcare troppo sullo splatter. Il produttore per dargli un opportunità lo invita a scrivere la sceneggiatura con Ubaldo Terzani, scrittore horror di successo (???).
Il protagonista inizia a leggere i libri di Terzani, che gli provocano incubi e visioni macabre. Anche la fidanzata inizia a leggere qualcosa arrivando alla conclusione che "solo una mente disturbata può scrivere certe cose". Per Alessio invece è un bravo scrittore, e inizia quindi la collaborazione con Terzani: il ragazzo si trasferirà nella villa dello scrittore per lavorare al soggetto. Qua inizierà una seduzione artistica che sfiorerà quasi il completo soggiogamento della vittima.

Conobbi questo film in estate, tramite l'OnDemand di Sky: lo evitai più che altro per il titolo veramente imbarazzante. Pochi giorni fa c'ho rifatto un pensierino e così eccoci qui.
La prima impressione tante volte è quella che conta.
La prossima volta infatti darò ascolto alla mia testa, perché questo Ubaldo Terzani Horror Show è davvero brutto brutto.
E dire che l'idea non era male: horror dalle tinte fulciane e meta-cinematograf... uh, no, fermi tutti. Torna indietro veloce. E dire che gli effetti splatter ad opera di Sergio Stivaletti non sono neanche male, tutt'altro, sono davvero ottimi!


Si diceva, la seconda opera del giovane regista Gabriele Albanesi è qualcosa di potenzialmente interessante ma, al contempo, parecchio brutto: tessere una storia infarcita di citazioni e rimandi al cinema italiano di autori come Bava, Argento e soprattutto Fulci, è quanto di più complicato si possa fare, perché o sei Tarantino e sai come rubare/citare, oppure il tuo film sarà niente di più che una paraculata da regazzini.
Ovviamente siamo dalle parti della paraculata, per cui il resto del film è una lenta discesa verso il vuoto: meta-cinema che non solo ti fa lo spiegone, ma ti spoilera direttamente il finale*, accompagnato da dialoghi imbarazzanti (sul serio) e attori che si possono tranquillamente dividere in "quelli che gigioneggiano" e "quelli indecenti". I pochi guizzi di questo film sono rappresentati dai bei momenti splatter, purtroppo inseriti con il contagocce.

A dispetto di quanto scritto finora, consiglio la visione del film perché si tratta di una di quelle pellicole che, se viste in compagnia, mostrano tutto il loro potenziale comico.


*"(...) Diciamo che ci siamo mantenuti su di un livello di estraneamento psicologico, anche se verso la fine ci sarà una sontuosa impennata splatter."
Ubaldo Terzani