31/01/13

DJANGO UNCHAINED

http://www.imdb.com/title/tt1853728/
L'attesa è stata devastante, a causa di una campagna pubblicitaria martellante e della classica, incondizionata fiducia verso il Quentin, come sempre certi di trovarsi davanti all'ennesimo filmone del regista di Knoxville. A metà gennaio è finalmente arrivato il momento di Django Unchained.

Lo stravagante dottor King Schulz (Cristoph Waltz), ex-dentista ora cacciatore di taglie, libera lo schiavo negro [cit.] noto come Django (Jamie Foxx) per un favore: rintracciare e riconoscere i suoi ex padroni, in modo da poterli uccidere e riscuoterne la taglia. I due avranno inoltre modo di stringere un'alleanza per salvare la moglie di Django, Brumhilda (Kerry Washington), ora schiava a Candyland, piantagione del Mississipi, proprietà del francofilo schiavista Calvin Candie (Leonardo Di Caprio).

Dimenticatevi dei suoi vecchi film: con Django, Quentin Tarantino porta l'asticella ad un livello molto alto.
Django è un capolavoro.
Ma che dico. Django è il capolavoro: centosessantacinque minuti di puro cinema senza sbavature: un film divertente, sorprendente, composto da dialoghi esilaranti e personaggi cool e sopra le righe. QT ti fa assaporare ogni scena del suo mondo fatto di amore, vendetta, violenza, e, proprio come aveva fatto con Inglorious Basterds, dimostra la sua capacità di sperimentazione riscrivendo addirittura la storia (vedi i tanti anacronismi, bla bla).
Se per voi non è così, bè... significa che partite prevenuti, che odiate QT per la fama che è riuscito a crearsi. Non ammettere l'elevatezza artistica di questo capolavoro è un delitto.

Scusate, non ho saputo resistere.
Non sapevo come iniziare il discorso, così ho deciso di aprire con un sunto delle tante recensioni positive lette in giro per il web. Recensioni che vorrei poter condividere, ma che ahimè, non posso fare.
Attenzione, prima che mi saltiate alla gola, non dirò che si tratta di un brutto film, anzi, è un buonissimo film, piuttosto divertente. Ma manca di qualcosa.

Durante la prima parte ti prende abbastanza, fai la conoscenza di Schultz (un grandissimo Waltz) e Django (un timido Foxx) nel Texas di metà '800, assisti ad alcuni momenti sulla carta esilaranti, ma non vedi lo stesso Tarantino. Dici, partirà con calma.
Si arriva a Candyland, teatro della seconda parte: entra in scena monsieur Calvin Candie (DiCaprio, lo attendevi parecchio in questo ruolo meno convenzionale), supportato dall'odioso Stephen (Samuel L. Jackson, e non c'è bisogno di dire quanto sia fantastico quest'attore). C'è tanto, tantissimo dialogo, ma è quel dialogo che non ti aspetti da QT: ridondante, non ha quella brillantezza che gli è propria. Risultato: questo blocco centrale scorre mooooltooooooo leeeeeeentaaaaaaaaaameeeeenteeeeeeeeee.
[Nota: Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che sia un problema di montaggio, non curato dall'editor Sally Menke, scomparsa nel 2010. Mah. A parer mio, il problema è un altro, e lo vediamo a breve]
Terza parte: lo scoppiettante finale, fatto di vendetta, sparatorie e sangue a fiotti.

Si diceva della lentezza. Ci sono diversi problemi di ritmo qua e là, imputabili non tanto al montaggio, secondo me, quanto più alla sceneggiatura: chi conosce QT sà che le storie da lui scritte sono sempre temporalmente costruite come dei puzzle, lasciando allo spettatore il compito di ricostruirle nella sua testa. Uno stratagemma per tenere l'attenzione dello spettatore alta, e soprattutto un modo per dare un solido background ai personaggi, anche se non necessario (esempio 1, esempio 2). Bene, in Django Tarantino cambia, offrendoci una trama lineare, di per sè non un difetto, se non fosse che affida tutto ai dialoghi, che come scritto sopra, non sono così brillanti come uno sperava. Di conseguenza, i personaggi divengono dimenticabili, poco caratterizzati, vuoti strumenti per la verbosità illimitata di QT.
Ultima cosa, poi smetto di parlarne male, la scena dei sacchi, o quella da molti soprannominata scena del Ku Klux Klan (che poi non è), esageratamente lunga, più che dissacrante diventa parodistica.
E insomma, mi è sembrato veramente un Tarantino tirato via.
Un incidente di percorso, nulla di grave, da lui ci si aspetta sempre tantissimo.

Due cose, due, per concludere.
Capitolo citazioni: il tanto sbandierato cameo di Franco Nero, quando chiede il nome e lo spelling a Django, è tremendo.
Il tema di Trinità sul finale mi è pure piaciuto, va che ti dico, se non fosse guastato dall'insulsa danza a cavallo.


P.S. Tarantino è per me un regista quasi leggendario: autore completo, ha portato con sè un cinema fatto di elementi quali i dialoghi logorroici, le storie a tinte forti, le narrazioni ad incastro, la cultura pop e i personaggi tosti ed eccessivi. Uno stile così o lo si ama o lo si odia. E io lo amo con tutto me stesso.

29/01/13

THE MAN WITH THE IRON FISTS

http://www.imdb.com/title/tt1258972/
Ricordate la tag Quentin Tarantino presenta che campeggiava tronfia sui poster e sui martellanti spot tv e trailer di qualsiasi film (legato all'Oriente o alle arti marziali) di dubbia qualità? Quante volte ci siamo cagati sotto alla vista di questa tag, vero e proprio tormentone post-Kill Bill, per terrore di trovarci davanti ad un film che Tarantino quasi certamente non aveva mai sentito/visto, ma a cui aveva prestato il nome solo per pietà? Per fortuna questo imbarazzante battage pubblicitario terminò quasi subito, anche se troppo tardi comunque.
Ebbene, nel 2012 il grande e trionfante ritorno!
Quentin Tarantino presents
THE MAN
WITH THE
IRON FISTS
Ovvero il primo film di Robert Diggs, noto anche e soprattutto come RZA, leader del celebre collettivo hip-hop Wu-Tang Clan. Co-scritto insieme a Eli Roth ma diretto in solitaria dal signore di cui sopra, la pellicola è un sentito omaggio ai film di arti marziali, genere che il Diggs adora fortemente (vedi le varie citazioni nella discografia dello stesso Wu-Tang Clan, ma vedi pure questo): ambientata nella Cina feudale del diciannovesimo secolo, la storia narra di clan di assassini, guerrieri, forestieri solitari in guerra tra loro per diverse motivazioni.
In questa appassionata vicenda corale non ci si fa mancare nulla. C'è tutto: c'è l'azione, ci sono decapitazioni e mutilazioni varie, ci sono omaggi ai kung-fu movies, c'è il dramma, c'è il divertimento, ci sono femme fatales e ci sono personaggi cazzutissimi.
Ci sono anche e soprattutto attori in formissima, come l'ormai pachidermico Russell Crowe nel ruolo di Jack Knife, inglese dal passato e motivazioni misteriosi, carismatico come non mai; c'è anche l'ormai ex sovraesposta Lucy Liu, nel ruolo della proprietaria cazzuta di un bordello, Lady Blossom. Nella lunga fila di star qui presenti, vorrei citare il buon vecchio Batista, nei panni del mercenario dal corpo di ottone, minaccioso al massimo. Per quanto riguarda il "protagonista", ovvero sia il fabbro barra genio armaiolo barra uomo con i pugni di ferro, alias RZA, bè... è un po' il peggiore dei cani, molto ingessato nelle espressioni e nei movimenti, tant'è che le parti in cui entra in scena sono parecchio stucchevoli.
Capitolo colonna sonora: colpisce la varietà di brani presentati, quasi come a voler confezionare un grande music video, piuttosto che una canonica traccia sonora. I brani sono per lo più originali, dove RZA pesca influenza blaxploitation e asiatiche mixandole a soul e hip-hop - di cui in realtà avrei fatto volentieri a meno, ma questo è un parere personale. Tutto abbastanza piacevole.

Sorprendemente in Italia il film verrà distribuito il 28 febbraio con il nome L'uomo con i pugni di ferro (ovviamente): auguriamoci che non dia il via ad una nuova invasione di Quentin Tarantino presenta. Ah, sì, se siete fan del genere, andate a vederlo.

28/01/13

ARGO

http://www.imdb.com/title/tt1024648/
Forse vi ricordate di Ben Er mascella Affleck come protagonista di tante vaccate, ma forse non sapete (o forse sì) che il Ben ha saputo dare una svolta importante alla sua carriera, portandosi dietro la macchina da presa e firmando tre lungometraggi, ovvero Gone Baby Gone, The Town e Argo.
I primi due li vidi quasi consequenzialmente: affascinato dalla crudezza del primo, deluso dall'ordinarietà del secondo, mi resi comunque conto che Affleck stava raccontando storie crude, con regia asciutta ed esperta. Per Argo, infatti, è maturata una notevole curiosità fin dal suo annuncio, poi mitigata dalla paura che il clamore della gggente in post-visione fosse dovuto alla nuova moda di inneggiare Ben Affleck per qualsiasi cagata tiri fuori.
Pellicola che si basa sul cosiddetto Canadian Caper, operazione segreta congiunta tra Stati Uniti e Canada messa in piedi dalla CIA (in primis dall'agente Tony Mendez) per riportare negli States gli ambasciatori americani, "prigionieri" a Teheran durante la rivoluzione islamica, tra il 1979 e il 1980, Argo è una sorta di conferma che Affleck è in effetti un regista da tenere d'occhio, che le sue precedenti opere non erano botte di culo. Cioè, prende una storia reale, difficile dal punto di vista politico, e ne trae una pellicola solida, ben diretta, dalla tensione palpabile nonostante tutti conoscano l'esito finale: merito della capacità di Er mascella nel saper gestire molto bene i tempi drammatici, ironici, etc. Non solo, la ricostruzione storica è veramente convincente, e il cast, tra tutti Alan Arkin e John Goodman, sà il fatto proprio - Affleck è quello che spicca meno di tutti, ma a quanto pare, fa tutto parte del piano.
E quindi... ARGO VAFFANCULO.

P.S. Per gli appassionati di fumetti, nel film appare anche Jack Kirby, interpretato dal signor Michael Parks.

LE BELVE (Savages)

http://www.imdb.com/title/tt1615065/
Tratto dall'omonimo romanzo di Don Winslow, il film racconta della vicenda di tre ragazzi coltivatori d'erba che attirano l'attenzione di un cartello della droga, il cui boss (Salma Hayek) vuole far propria la coltivazione d'erba dei suddetti ragazzi.
Savages è tipo il diciannovesimo film di Oliver Stone. Savages credo sia anche (e soprattutto) una delle cose più involontariamente ridicole che abbia mai visto: sarà che i protagonisti (Aaron Johnson, Taylor Kitsch e Blake Lively) non sono credibili nemmeno per un secondo; sarà per la violenza, brutale come l'accesa fotografia, che scorre parallelamente ad una storia trattata con eccessiva leggerezza, mai incisiva, pur avendo delle buone premesse; sarà per il trattamento frettoloso riservato ai personaggi, come il sicario (Benicio Del Toro) e lo sbirro (John Travolta) ridotti a semplici macchiette; sarà che buona parte dei dialoghi è effettivamente scialba e ridondante, ma questo film mi ha proprio stordito e fatto innervosire alquanto (vogliamo parlare del finale?).
E giuro che non è la mia idiosincrasia verso Oliver Stone a guidarmi.

22/01/13

FRINGE

Dopo circa quattro anni, 100 episodi e un bordello di ore passate insieme, la nostra relazione giunge al termine.
Non sarebbe una missiva significativa se non prendessi il tutto alla larga, dall'inizio: era il 2010, e venivo a conoscenza della tua esistenza tramite i pessimi spot di Italia 1 che focalizzavano tutta l'attenzione su Pacey Witter alias Joshua Jackson alias Peter Bishop, quasi come se il ragazzo di Dawson's Creek fosse arrivato a Boston per fare da consulente all'FBI. Ebbene, non mi interessavi neanche un po', ma dopo lo spassionato consiglio di due cari amici, ho deciso di recuperarti.
In poco tempo mi sono sparato la tua prima stagione ed ho pensato quanto fosse cazzuta per la sua capacità di coniugare efficacemente dei personaggi davvero ben delineati ad un contesto sci-fi credibile e ben organizzato, con l'unico difetto di essere un po' troppo lungo e pieno di filleroni.
Con la speranza di vedere qualcosa di altrettanto ben fatto, mi sono quindi approcciato alla seconda stagione (all'epoca, ero quasi in diretta). La potrei definire deflagrante: tutto ciò che avevi presentato nella stagione precedente lo avevi portato al livello successivo, ergo più misteri, più azione, più fantascienza, e soprattutto più emozioni nei rapporti tra i vari personaggi, senza scadere nel banale (per ingraziarsi una buona fetta di pubblico). L'apice di tutto questo lo hai raggiunto con l'episodio 18, White Tulip: il caso dell'uomo che saltava nel tempo attivando un loop temporale era sicuramente impressionante dal punto di vista della spettacolarità (ricordo quanto mi gasai, anche per la scelta del protagonista dell'episodio), ma era soprattutto il pretesto per mostrare il conflitto interiore che divorava il personaggio di Walter Bishop (John Noble, vero protagonista della serie, fanculo Olivia e fanculo Peter), riguardo le azioni legate al rapimento di suo figlio per mano sua (!). Il confronto tra lo scienziato e l'uomo che saltava nel tempo, nel corso dell'episodio, segnava una disamina sull'amore, sulla sofferenza, sul perdono, sul destino (su talmente tanti temi che faccio prima a consigliarvi di vedere la puntata in questione), senza però scadere nelle facili emozioni. Un episodio che era un po' la summa tematica della serie.
Tulipano bianco.

Ebbene, alla fine di questa significativa seconda stagione ero carico di soddisfazione. Era l'apice della nostra relazione.

Ma non tutto dura all'infinito.
Nel 2011, il fattaccio: dopo un avvio lento e poco convinto della terza stagione, apprendo che c'è qualcosa che non va.
Mi tradisci: stai ingraziandoti il pubblico facendo la facilona, sgualdrina che non sei altro. Il rapporto tra Peter e Olivia si intensifica troppo, diventa una love story con contorno di fantascienza, per altro nemmeno avvincente, e i personaggi perdono parecchio carisma, cristallizzandosi in un momento di mediocrità. Mi sento male: questa non è la serie che amavo! E lo stesso si ripete l'anno seguente, dove provi a recuperare il nostro rapporto con un inizio di quarta stagione ben avviato, ma non straordinario.
E' solo una parentesi. Tutti i difetti venuti alla luce anni prima continuano a manifestarsi: mi disaffeziono sempre di più a quei personaggi un tempo amati, diventa tutto più intricato, vecchi quesiti vengono risolti, ma allo stesso tempo vengono generate nuove, perverse domande che hanno come scopo ultimo quello di aprire voragini narrative imbarazzanti, fino ad arrivare al finale da stordimento: si tirano quasi tutti i fili delle questioni rimaste in sospeso ad una velocità estrema, figlia di problemi legati agli ascolti.

E' dunque la conclusione del nostro rapporto? Con un ultimo colpo di coda, sfoderi la quinta stagione, più breve, quasi uno spin-off, ambientato in un futuro distopico, dove degli invasori provenienti dal futuro hanno soggiogato l'umanità (o il nord America, ancora non mi è chiaro). Nel corso delle puntate non nego di essermi divertito e anche ri-affezionato ai tuoi personaggi (anche se ancora un po' ebeti), alla tua storia (pur considerando un ritmo alla cazzo di cane)... a te, insomma. Ma c'era qualcosa che non andava, un particolare fastidioso.
Alla luce del finale, ho capito: è pur sempre una minestra riscaldata. Scegli di spararmi in faccia un carico di emotività pescata dalle prime serie, e soprattutto, il rapporto padre-figlio dei Bishop. E fino ad un certo punto funziona bene. Se non fosse che è tutto lasciato alla cazzo di cane: oltre al finale, è una serie di un contradditorio allucinante, con linee temporali che si accavallano tra loro generando sempre più buchi neri (altro che buchi narrativi), soluzioni narrative prive di un qualsivoglia obiettivo, ma soprattutto un qualcosa che mi stimola a mandarti a fanculo, legato alla conclusione.

[Seguono SPOILER]

Tutto quello che ho visto è come se non fosse mai accaduto, vero? Niente più osservatori, niente più Walternativo che si fa distrarre da Settembre, niente più rapimento di Peter da parte di Walter, ergo niente più Fringe.
No.

Mi hai preso per il culo. E io non ci sto.

Addio Fringe, grazie per gli anni divertenti passati insieme, ma non mi mancherai per niente.

10/01/13

A.I. - INTELLIGENZA ARTIFICIALE (A.I. Artificial Intelligence)

http://www.imdb.com/title/tt0212720/
Ogni volta che parlo con qualcuno di questo film, mi si dice "Tristissimo" "Commovente" "Fiumi di lacrime", per cui ho sempre cercato di mantenere un certo distacco da questa pellicola, che tante volte i fin troppo decantati film "da lacrima" sono quelli che mi lasciano più impassibile.
Non sto dicendo di andare a casa a tagliare la marmitta del vostro motorino che mi pongo in una posizione elevata rispetto a queste persone, semplicemente non riesco ad accettare l'emotività gratuita di questi film.
Chiarito questo, passiamo al film: sono sicuro che buona parte del mondo intero lo abbia già visto anni fa, io invece arrivo adesso per i motivi di cui sopra, quindi è chiaro che mi limiterò ad esporre cosa mi è piaciuto e cosa no, senza inoltrarmi nella morale, nella filosofia e tutto il resto.
Dunque, il film è facilmente divisibile in tre parti: la prima, con David e la famiglia adottiva, è nettamente la migliore, con degli ottimi protagonisti, credibili e sfaccettati, assolutamente coinvolgente pur essendo una visione fredda e analitica (e qua a Spielberg ci faccio tanti applausi); la seconda, con il viaggio che David intraprende assieme a Joe per diventare un bambino vero, perde un po' di sostanza, restando comunque MOLTO valida nel rappresentare un mondo futuristico al cui interno fosse ben visibile la barbaria degli esseri umani, impeccabile nel portare lo spettatore a empatizzare con il ragazzino-robot senza eccedere in facili sentimenti; la terza, quando arrivano le macchine che paiono alieni, mortacci tua Spielberg, non si può vedere: non perché gestita male, ma, come spiegato all'inizio, perché talmente infarcita di emozione diabetica gratuita che non ci si crede, sconfessando ciò che si era descritto fino a trenta minuti prima.
Già, perché se il film fosse finito con David di fronte alla Fata Turchina nelle profondità delle acque di Manhattan, sarebbe stato grandioso: un finale altamente drammatico, e sicuramente più in linea con tutto quello che è stato il film PORCA POOTTANA, ma lo sai che rabbia, checcazzo?
Mai stato così infastidito da un finale, maledizione. Anche perché tecnicamente è un filmone, uno di quelli che non vedi spesso, che Spielberg era in formissima e non ti chiedevi "chissà come lo avrebbe realizzato Kubrick".
Almeno, fino all'ultima mezzora.

09/01/13

TWIXT

http://www.imdb.com/title/tt1756851/
Tutti conosciamo Francis Ford Coppola, autore di pellicole di assoluto valore come Il Padrino - Parte I & II, Apocalypse Now e Dracula di Bram Stoker.
Fino ad una decina di anni fa, Coppola faceva film realmente enormi.
Oggi, il Francis Ford, sperimenta.
C'erano infatti una volta Coppola, Val Kilmer, la trippa di Val Kilmer, Edgar Allan Poe e i vampiri. Kilmer (o quello che ne rimane) è uno scrittore in declino, alcolizzato, dal nome assolutamente imbarazzante (Hall Baltimore), cui Coppola ha riversato alcuni delle sue esperienze (in primis, la morte del figlio). Arrivato nella cittadina di Swann Valley per pubblicizzare il suo ultimo libro, riceve dallo sceriffo la richiesta di scrivere un romanzo insieme, prendendo spunto dall'ultimo caso di omicidio avvenuto nel paese: manco a dirlo, lo scrittore si lascia catturare da quella strana situazione.
Come si intuisce, la trama è qualcosa di veramente banale, che si prende poco sul serio, atta a giustificare ciò che vediamo, ovvero una vagonata di sperimentazione tecnica e stilistica (si veda il piano onirico).
Per il resto, si potrebbe definire una sorta di analisi, che la morte del figlio di Coppola viene riportata nel film quasi per analizzarla ed esorcizzarla (potrebbe?).
Dici, che c'entrano Poe e i vampiri? E chi lo sa. Lo scrittore è una sorta di spirito guida per il protagonista, lo aiuterà a trovare la soluzione dell'omicidio e sarà di ispirazione per la stesura del nuovo libro di Baltimore che si incentrerà sul vampirismo, ispirato dalla figura di Virginia, giovine ragazza conosciuta nei suoi sogni.

Che sia un film riuscito o meno è un po' difficile dirlo, ancora mi domando se quello che mi è passato davanti agli occhi sia una poottanata godibile o una genialata.

08/01/13

LE 5 LEGGENDE (Rise of the Guardians)

http://www.imdb.com/title/tt1446192/
C'era qualcuno, oltre alla mia coscienza, che mi diceva di stare attento, che questo film era pur sempre firmato Dreamworks. Non l'ho voluto ascoltare, me ne sono sbattuto. Ho atteso il film, mi ha seccato perderlo prima di Natale, ma l'attesa è stata comunque ripagata quando lo hanno trasmesso sabato e domenica al cinema dietro casa mia. Un cinemino. Un po' cinemaccio, per la verità: schermo piccolo, troppo scuro, sonoro da salotto. Ciò nonostante mi evita di buttare soldi per il 3D e per la benzina.

Okay, premessa conclusa.

Il film mi ha deluso. No, non è vero.
In realtà mi è passato così, senza intrigarmi, senza emozionarmi, senza farmi arrabbiare, senza appassionare. Che è un po' la morte di un film, quando passi un'ora e mezza seduto sulla poltroncina a guardare l'orologio chiedendoti "saranno passate due ore?".
Perchè Rise of the Guardians non è un film brutto, eh, intendiamoci. Solo che i personaggi sono abbastanza impalpabili (non per colpa loro, si è scelto di puntare tutto sull'odioso Jack Frost), lo sviluppo poco interessante, il cattivo (solo) potenzialmente figo, mentre il pappone sull'identità e sul posto che hai al mondo, su cui si concentrano per tutta la durata della pellicola, hanno anche frantumato un po' i testicoli a questo punto. Diamine, ogni film della Dreamworks ruota attorno a questo concetto: l'avete sfruttato (ahahah, certo, come no!) abbastanza, mobbasta.

Sul versante tecnico, nulla da dire, sempre la solita minestra riscaldata, per quanto in certi istanti pareva avesse una grafica seria, visti i dettagli sui capelli e i vestiti, cosa che comunque non basta di certo a renderlo visivamente appagante.
Il qualcuno di cui accennavo all'inizio mi dirà "Te l'avevo detto", ma sai com'è, dopo Dragon Trainer sembrava potesse andare meglio. Appunto, "sembrava".

02/01/13

THE RAID: REDEMPTION

http://www.imdb.com/title/tt1899353/


Rama è una recluta della SWAT indonesiana alla sua prima missione: irrompere in un fatiscente palazzo a Giacarta, casa di un potente e temuto boss della droga. Un compito all'apparenza semplice, se non fosse per gli inquilini dell'edificio, gente in difficoltà a cui è stata data casa in cambio di fedeltà e protezione. Ecco quindi che per i venti agenti non sarà più uno scherzo addentrarsi nel palazzo e arrivare all'ultimo piano.

The Raid è un film a cui mi sono avvicinato con un bel po' timore: il più delle volte sul web si genera un certo clamore per delle pellicole che non arrivano in Italia o, ancora meglio, che non escono dal loro territorio, ed essendoci caduto diverse volte (l'ultima con il brutto Kill List), con The Raid ci sono andato schifosamente cauto - non azzerando le aspettative, che se lo facessi vedrei un film dimmerda come un capolavoro. Quindi: fatto passare un po' di tempo, lontano da tutti quei clamori, mi sono sparato la pellicola.

Ma facciamo prima un passo indietro. Introduciamo.
2009: il regista gallese Gareth Evans si trova in Indonesia per documentarsi (e documentare) sull'arte marziale Silat. Grazie a questa ricerca, conosce il giovine Iko Uwais, che fin dalla tenera età di 10 anni assimilava concetti e mosse di questa letale arte marziale. I due realizzano Merantau (Merantau Warrior per il mercato occidentale), film che fa il botto e porta alla ribalta regista e attore per diversi meriti, tra cui una storia che non viene sacrificata in favore delle botte. A questo punto, la coppia vuole realizzare qualcosa di più grande, che come avrete intuito, si tratta proprio di The Raid.
Da qui che riprendiamo il discorso.
Probabilmente il modo migliore per descrivere questo film è “Un minuto di romanticismo, 100 minuti di carneficina non-stop” (grazie, poster australiano): il film parte con Uwais/Rama intento a prepararsi per l'incursione, mentre la moglie incinta gli fa sapere quanto lo ama. Un saluto alla sposa ed eccolo in strada, raccolto dai suoi colleghi che studiano il piano della giornata. Arrivati a destinazione tutti gli schemi saltano, ed ecco che di fronte alla macchina da presa entrano armi da fuoco che vomitano piombo incessantemente, machete che lacerano carni e legnate inferte senza remore.

Nel terzo atto del film, Rama e un altro personaggio sfidano Mad Dog (Yayan Ruhian), dando vita ad uno dei più clamorosi scontri di arti marziali degli ultimi anni, dove non si risparmiano colpi bassi, colpi alle spalle, colpi alla testa, colpi su ogni dove, dati come se non ci fosse un domani. E' forse questo l'apice del film, dove tutta la violenza, tutta la brutalità raggiungono la loro summa.
Un'azione satura di un'energia veramente esplosiva.

Capitolo regia: per essere un quasi esordiente, Evans dirige con mano ferma e sicura, donando alla pellicola  un bel ritmo iperdinamico, dando il giusto spazio alle ottime coreografie a cura di Uwais e Ruhian. Quindi ecco, si tratta di un film dalla realizzazione tecnica davvero sorprendente, specie se pensiamo al budget che raggiunge a malapena il milione di dollari.

Altro elemento per il successo, la credibilità: l'ottima immedesimazione degli attori nel ruolo degli agenti SWAT, dove finalmente vediamo gente credibile e non attori che fanno movimenti e gesti da babbei, per dirne una. Le coreografie per l'assoluta spettacolarità degli scontri, per dirne un'altra. Per gli amanti della sanguinario, poi, tra mutilazioni, decapitazioni, sbudellamenti c'è da essere ben contenti. Non si arriva allo splatter, attenzione, non scorrono fiumi esagerati di sangue, ma la violenza è alta e verosimile.

Si diceva come il film non fosse solamente botte, ma anche storia e personaggi, che altrimenti se fosse un mena mena dall'inizio alla fine, anche il fan più sfegatato del genere ne avrebbe a noia. Così, in mezzo agli scontri, vengono inserite brevi scene più statiche, dove si privilegia la tensione e qualche linea di dialogo, in modo da farci conoscere i personaggi e capire perché si trovano lì. Non si grida al capolavoro di caratterizzazione, ci troviamo pur sempre davanti a degli stereotipi, cazzuti, ma sempre stereotipi.

Negli States hanno fiutato l'odore di opportunità, ed ecco quindi che oltre all'opzione per il remake, hanno preso il film, l'hanno rinominato in The Raid: Redemption e hanno chiamato Mike Shinoda dei Linkin Park per dargli una nuova colonna sonora dal sapore elettronico che comunque ben si adatta alla visione (questa versione americana è la più facile da recuperare, l'originale credo sia introvabile fuori dalla terra natia).

Per concludere, c'è chi paragona il film di Evans all'ultimo film di Bruce Lee, l'incompiuto Game of Death: nulla di più lontano. Lee interpretava la scalata nella pagoda come un qualcosa di metafisico/spirituale, e The Raid non è questo: è un film di genere che mette in scena un tipo di azione, che si rivela un bellissimo incrocio tra Oriente ed Occidente e che ridefinisce lo standard per i nuovi film action.

(Recensione originariamente apparsa su Mangaijin #1)