Shin'ya Tsukamoto è quello che puoi chiamare un “regista di culto”: poliedrico, ha ricoperto (e ricopre) un po' tutti i ruoli nella realizzazione dei propri film, si presta come attore per sé e per altri cineasti; inoltre lo puoi considerare degno epigono di Lynch e Cronenberg per l'uso di tematiche forti come la mutazione o lo straniamento, ed infine, è colui che ha portato quel tipo di cyberpunk estremo nella cinematografia asiatica – prima di lui, solo sporadici casi più vicini alla semplice fantascienza, anche post-atomica. La sua carriera parte subito fortissimo: sul finire degli anni '80, Tsukamoto è autore di alcuni medio/cortometraggi, come Le avventure del ragazzo del palo elettrico, in cui mette in scena elementi a lui cari che verranno poi sviluppati nel corso della sua carriera: parliamo di disumanizzazione, alienazione, violenza, città come parallelo dell'uomo e, soprattutto, di mutamento della carne. Nel 1989 crea lo studio Kaiju, prende questi suoi (futuri) topoi e ne tira fuori Tetsuo: The Iron Man, film a bassissimo budget che catapulta il giovane Shin'ya nell'olimpo degli autori più visionari. In cosa consiste questo fenomeno? In una storia tutto sommato semplice (un feticista del metallo viene investito da un'auto guidata da un uomo la cui esistenza, da quel momento in poi, sarà completamente sconvolta) che, grazie ad una realizzazione tecnica limitata ma impeccabile, diventa un vero incubo per lo spettatore: il contrasto bianco/nero, la velocità data dallo stop-motion, la frenesia del montaggio, tutto è portato all'eccesso in sequenze prive di dialoghi, bizzarre, cariche di un pulsante orrore bio-meccanico, fino ad arrivare al finale devastante. Il trionfo del cyberpunk, condito da una colonna sonora pompata al massimo, splendidamente cacofonica. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a questi 67 minuti da incubo, è il classico caso di un film che, come si suol dire, “o si ama, o si odia”.
16/04/13
03/04/13
MEMORIES OF MURDER (Salinui chueok)
http://www.imdb.com/title/tt0353969/ |
“Basato su una
storia vera accaduta sotto una dittatura militare.”
Così si apre Memories of Murder,
secondo lungometraggio di quel Bong Joon-Ho che, solo tre anni prima, si
faceva notare per la deliziosa commedia nera intitolata Barking Dogs Never
Bite (di cui abbiamo parlato nel #2), da cui riprende il filo del discorso
iniziato sulla critica al malessere della società coreana.
In più, Memories
of Murder è uno di quei film tremendamente difficili da
recensire, essendo molto particolare e parecchio lontano dagli stilemi dei
thriller classici. Insomma, non puoi scrivere qualcosa senza incappare in un
dannato spoiler! Anche se MoM non è certo un film che si regge unicamente
sull’identità dell’assassino.
Ma inquadriamo meglio il contesto in cui si
svolge il film, con una morbosetta lezione di storia: tra l’ottobre 1986 e
l’aprile 1991, in Corea, furono commessi dieci omicidi nella zona di
Hwaseong. Le vittime, tutte donne di età variabile, dai 13 ai 60 anni, vennero
imbavagliavate con la loro biancheria intima, dopodichè stuprate e poi uccise. Oltre
300.000 poliziotti presero parte alle
indagini e oltre 3.000 indagati vennero interrogati.
La pellicola racconta infatti questo brutale
e reale fatto di cronaca nera: un piccolo paese di provincia viene scosso dal
brutale omicidio di una donna. A condurre le indagini saranno inizialmente due
poliziotti locali che si baseranno unicamente sul loro istinto, fornendo prove
false e torturando i sospetti; visto l’insuccesso delle indagini e la scoperta
di un nuovo omicidio, interverrà per dare una mano un poliziotto di Seul, che fa
della razionalità il suo tratto più marcato.
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2003,
5/5 - Roba cazzuta,
Bong Joon-ho,
drammatico,
film,
noir,
Song Kang-ho
02/04/13
M
http://www.imdb.com/title/tt0889615/ |
Min-woo (Dong-won Kang) è un giovane
scrittore di successo che lavora all'attesissimo seguito di un suo romanzo.
Tutto normale, tranne per il fatto che la sua mente vacilla: frequenti incubi
lo perseguitano, paranoie, visioni di una ragazza misteriosa (Yeon-hee Lee)... presto per lui sarà
difficile distinguere fra realtà e fantasia.
Visivamente grandioso, il film
offre inquadrature dai colori saturi, immagini sovraesposte, freeze,
dissolvenze, rallenty, ma tutto questa aggressività grafica tende alla noia,
confondendo una storia già di per sè non eccessivamente semplice che si snoda
su tre livelli (realtà, onirico, memoria), creando quindi una notevole
difficoltà nella comprensione dello svolgimento.
Per qualcuno sarà divertente,
personalmente l’ho trovato troppo attento alla forma più che alla sostanza,
vedi anche lo scarso spessore donato ai personaggi, elemento che mortifica
l’empatizzazione tra spettatore e protagonisti.
Etichette:
2/5 - Quanti sbadigli,
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drammatico,
film,
Lee Myeong-Se,
psicologico
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