16/04/13

TETSUO: THE BULLET MAN

http://www.imdb.com/title/tt1176416/
Shin'ya Tsukamoto è quello che puoi chiamare un “regista di culto”: poliedrico, ha ricoperto (e ricopre) un po' tutti i ruoli nella realizzazione dei propri film, si presta come attore per sé e per altri cineasti;  inoltre lo puoi considerare degno epigono di Lynch e Cronenberg per l'uso di tematiche forti come la mutazione o lo straniamento, ed infine, è colui che ha portato quel tipo di cyberpunk estremo nella cinematografia asiatica – prima di lui, solo sporadici casi più vicini alla semplice fantascienza, anche post-atomica. La sua carriera parte subito fortissimo: sul finire degli anni '80, Tsukamoto è autore di alcuni medio/cortometraggi, come Le avventure del ragazzo del palo elettrico, in cui mette in scena elementi a lui cari che verranno poi sviluppati nel corso della sua carriera: parliamo di disumanizzazione, alienazione, violenza, città come parallelo dell'uomo e, soprattutto, di mutamento della carne. Nel 1989 crea lo studio Kaiju, prende questi suoi (futuri) topoi e ne tira fuori Tetsuo: The Iron Man, film a bassissimo budget che catapulta il giovane Shin'ya nell'olimpo degli autori più visionari. In cosa consiste questo fenomeno? In una storia tutto sommato semplice (un feticista del metallo viene investito da un'auto guidata da un uomo la cui esistenza, da quel momento in poi, sarà completamente sconvolta) che, grazie ad una realizzazione tecnica limitata ma impeccabile, diventa un vero incubo per lo spettatore: il contrasto bianco/nero, la velocità data dallo stop-motion, la frenesia del montaggio, tutto è portato all'eccesso in sequenze prive di dialoghi, bizzarre, cariche di un pulsante orrore bio-meccanico, fino ad arrivare al finale devastante. Il trionfo del cyberpunk, condito da una colonna sonora pompata al massimo, splendidamente cacofonica. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a questi 67 minuti da incubo, è il classico caso di un film che, come si suol dire, “o si ama, o si odia”.


Vi chiederete perché discorrere così a lungo di un film che non c'entra una beneamata con la pellicola che dovrei invece recensire. Bé, per due semplici motivi: 1) adoro trattare del primo Tetsuo e 2) è essenziale ai fini di una comprensione migliore del film che stiamo per affrontare. Come probabilmente saprete, o avrete intuito, questo The Bullet Man non è altri che l'ultimo capitolo di una trilogia cyberpunk dello Tsukamoto. Il secondo capitolo, Body Hammer, più che un sequel o un remake in grande stile, fu un ulteriore approfondimento sul tema della mutazione della carne. Tecnicamente migliore, oltre che diverso (a colori, meno onirico e più attento alla trama), Tetsuo II è un po' una delusione non tanto nella forma, quanto più nella sostanza, dove va a perdersi quella lucida follia che contraddistingueva il suo predecessore.

Okay, concluso questo lungo preambolo possiamo passare al piatto del giorno, alla portata segnata sul menu. Mostra del Cinema di Venezia 2009: il buon Shin'ya è ospite d'onore, e porta con sé il suo nuovo lungometraggio: a vent'anni dal Tetsuo: The Iron Man, ecco The Bullet Man. L'accoglienza non è delle migliori, ma cavolo, è Tsukamoto, avrà tirato fuori qualcosa di nuovo dal cilindro, specie dopo le ottime prove di Bullet Ballet, A Snake of June e Nightmare Detective. Passa un altro anno, finalmente esce il film anche per i comuni mortali: in Italia arriva trasmesso da Rai Tre, dove viene però martoriato da un montaggio ex-novo a cura del critico Enrico Ghezzi.

Mettendo da parte gli orrori italiani, vediamo finalmente il film, nel dettaglio, partendo dalla trama: il piccolo Tom viene ucciso da un uomo misterioso (lo stesso Tsukamoto) sotto gli occhi del padre, Anthony. Questi, in un vortice di odio e vendetta, muterà in una vera e propria arma di distruzione di massa.

Quando sono partiti i titoli di coda ho pianto sangue. Una roba che non avrei mai pensato, della serie “Quelli di Venezia sono degli snob, che ne sanno”. No, Tsukamoto ha fallito. Perchè? Pur non avendo collegamenti in comune, ma trattandosi di un proseguo ideale del tema cyberpunk, come fece anni prima con il secondo capitolo, questo terzo Tetsuo non è altro che un remake di Body Hammer, con la sostanziale differenza che tra un film e l'altro c'è un impoverimento generale di trama, personaggi, temi e follia. Ad esempio, l'emozione centrale del film è la rabbia, che diventa causa scatenante della trasformazione di Anthony in un mostro metallico. E poi? L'ovvia tematica uomo/macchina tanto cara all'autore e la famiglia. Si entra quindi in un discorso più etico, dove lo Tsukamoto sceneggiatore inserisce allora tanto amore e buoni sentimenti, perdendo tutta quell'aura di visionarietà pesante che contraddistingueva i precedenti titoli, in un eccesso di ottimismo fuori luogo.

Precisiamo: ora lo sto paragonando ai suoi predecessori, ma Bullet Man non funzionerebbe nemmeno come film a sé stante: a causa di una gestione della storia veramente fiacca - fatta di urli, lacrime e filastrocche intervallate da sequenze d'azione esplosive (letteralmente) ma incomprensibili, il tutto risulta molto ovvio (grazie alle sequenza con lo spiegone) e poco incisivo. Un po' come se lo Shin'ya giocasse a fare lo Tsukamoto.

Dici, “magari il make-up e la colonna sonora rendono”. Parzialmente. La creatura di metallo avrebbe anche un perché, se non fosse che per quasi tutta la durata della pellicola rimane tranquillamente in giacca e cravatta come un normale impiegato. La colonna sonora è mutuata dai precedenti Tetsuo, quindi nulla di innovativo per quanto molto “piacevole” da ascoltare.

Il film è inoltre il primo che Tsukamoto ha girato in digitale e in lingua inglese, appositamente per il mercato americano (è in effetti uscito qualche mese prima negli States anziché nel Sol Levante). Pregi di questa globalizzazione? Il Tetsuo theme dei Nine Inch Nails. Difetti? L'attore protagonista, Erik Bossick, è legnoso e poco credibile, ma per fortuna lo vediamo per buona parte del tempo come uomo proiettile.

In definitiva, un film piuttosto moscio, privo di importanti e nuovi contenuti, appagante solo in brevi sequenze esplosive e svariate illuminazioni registiche (da questo punto di vista, è una riconferma della bravura di Tsukamoto).

Shin'ya, ti prego, ritorna sui tuoi passi.

(Articolo originariamente apparso su Mangaijin #2)

Nessun commento:

Posta un commento